L’art. 2043 del codice civile prevede che “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
Il danno può essere patrimoniale o non patrimoniale. Quest’ultimo viene risarcito solo in casi ben determinati dalla legge (art. 2059 cod. civ.). Trattasi del risarcimento del danno per fatto illecito. Il dolo è la volontà di cagionare il danno, mentre la colpa è la mancata diligenza richiesta per un dato tipo di attività (negligenza, imprudenza o imperizia) e può essere grave, lieve o lievissima.
Vi sono, però, anche dei casi di responsabilità oggettiva che prescindono, quindi, dalla colpa o dal dolo.
Per quanto riguarda la responsabilità contrattuale, il diritto al risarcimento del danno scatta nel momento in cui la prestazione indicata in un contratto non viene eseguita nel momento o nel luogo dovuto o secondo le modalità convenute dalle parti. In questi casi la parte può chiedere l’esatto adempimento oppure la risoluzione del contratto ed , in quest’ultimo caso, anche il risarcimento del danno ove possibile.
Contratti
Per i contratti di qualsiasi natura è di fondamentale importanza essere supportati da un avvocato che saprà guidarvi nelle clausole da inserire o da evitare, onde prevenire problematiche ed incomprensioni con la controparte.
Il diritto condominiale
Il diritto condominiale, dopo anni di silenzio legislativo, è stato oggetto di riforma nel 2012 con la Legge 220 che, sebbene abbia disciplinato la materia in maniera più compiuta rispetto al passato, lascia comunque ampio spazio ad interpretazioni della stessa con riferimento ad alcuni articoli disciplinati in maniera più generica.
Trattandosi di un diritto ampio, ed essendo ogni caso diverso e a sé stante, in questa sede fornirò ai lettori le informazioni più importanti dal punto di vista giuridico.
Le parti comuni del condominio:
L’art. 1117 del codice civile non fornisce una definizione di parti comuni, limitandosi ad indicare quali sono le parti dell’edificio da considerarsi in comunione tra tutti i condomini ed il regime giuridico al quale sono sottoposte.
Si tratta di beni che si presumono comuni, salva diversa disposizione contenuta nel titolo d’acquisto e che l’articolo succitato indica in un’elencazione meramente esemplificativa e non tassativa.
Il suindicato articolo distingue, quindi, i beni che sono oggetto di proprietà comune, in tre punti: al numero 1) vengono elencate le parti inerenti la struttura dell’edificio (suolo, fondazioni, muri maestri, tetti, scale, portoni d’ingresso, ecc.) e in genere “tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune”; al numero 2) i locali destinati ai servizi in comune (locali per la portineria, per la lavanderia; ecc.); al numero 3) le opere, le installazioni e i manufatti destinati all’uso e al godimento comune (ascensori, pozzi, cisterne, impianti gas; ecc.).
Il successivo art. 1118 c.c. prevede espressamente ed inderogabilmente previsione che il condomino non può rinunciare ai diritti sui beni comuni né sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la loro conservazione. Nemmeno un regolamento di condominio di natura contrattuale può prevedere una deroga all’irrinunciabilità.
L’art. 1119 c.c. sancisce, invece, l’indivisibilità delle parti comuni dell’edificio, “a meno che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino e con il consenso di tutti i partecipanti al condominio“.
L’uso delle parti comuni:
Ciascun condomino può usare le cose comuni, apportando, a proprie spese, anche modificazioni necessarie per il miglior godimento, purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca, ex art. 1102 c.c., agli altri partecipanti un pari godimento delle stesse, oltre a non pregiudicare la stabilità, la sicurezza e il decoro dell’edificio condominiale.
L’amministratore del condominio: definizione
L’amministratore è “l’organo esecutivo” del condominio. Il codice civile disciplina in modo completo la nomina, la conferma e la revoca dell’amministratore. Prevede che l’amministratore sia obbligatoriamente nominato superato un certo numero di condomini e disciplina le modalità di nomina e revoca da parte dall’Autorità Giudiziaria.
Fino alla riforma del 2012, potevano svolgere questa professione tutti coloro i quali avessero la capacità d’agire, senza necessità di qualifiche particolari.
Oggi l’articolo 71bis delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie elenca espressamente una serie di requisiti indispensabili ai fini dell’esercizio dell’attività di amministratore. Tra i più rilevanti, il pieno godimento dei diritti civili e politici, il conseguimento di (almeno) il diploma di scuola superiore di secondo grado e la frequentazione di appositi corsi di formazione ed aggiornamento periodico in materia di amministrazione condominiale. Ammettendo che questi ultimi due requisiti possono essere derogati nel caso in cui venga nominato amministratore “uno dei condomini dello stabile”. La legge prevede altresì che possano esercitare questa attività anche le società, sempre nel rispetto dei canoni elencati.
Quando è obbligatorio che il condominio nomini un amministratore?
Ai sensi dell’Art. 1129 c.c., come riformato, “Quando i condomini sono più di otto, se l’assemblea non vi provvede, la nomina di un amministratore è fatta dall’autorità giudiziaria su ricorso di uno o più condomini o dell’amministratore dimissionario.”Quindi la nomina diventa obbligatoria quando vi sono almeno 9 condomini.
– I quorum per la nomina dell’amministratore:
L’art. 1136 c.c., al quarto comma, stabilisce che la nomina e la revoca dell’amministratore devono essere sempre approvate con la maggioranza stabilita dal secondo comma del presente articolo, ovvero la maggioranza degli intervenuti all’assemblea che rappresentino almeno 500 millesimi (la metà del valore dell’edificio). Per quanto concerne la conferma dell’amministratore uscente, non vi è un indirizzo giurisprudenziale uniforme. Secondo l’orientamento maggioritario della Cassazione, occorre la maggioranza qualificata anche nel caso di conferma (ossia la maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno 500 millesimi, sia in prima che in seconda convocazione), trattandosi di delibere che hanno contenuto ed effetti giuridici uguali. Vi sono però delle sentenze di alcuni Tribunali che ritengono che in seconda convocazione sia sufficiente la maggioranza ordinaria di un terzo dei partecipanti al condominio che rappresentino un terzo dei millesimi di proprietà.
La revoca dell’amministratore:
L’art. 1129 c.c. recita “la revoca dell’amministratore può essere deliberata in ogni tempo dall’assemblea con la maggioranza prevista per la sua nomina oppure con le modalità previste dal regolamento di condominio”.
Può altresì essere revocato dall’autorità giudiziaria, su ricorso di ciascun condomino, oltre che nel caso previsto dall’ultimo comma dell’art. 1131, se non rende il conto della gestione, ovvero in caso di gravi irregolarità” (c.d. revoca giudiziale).
I doveri dell’amministratore di condominio:
Molteplici sono i doveri dell’amministratore del condominio per tutta la durata del suo mandato.
All’atto di accettazione dell’incarico, in particolare, egli deve comunicare i propri dati anagrafici e professionali, il luogo in cui saranno custoditi i registri del condominio ed i giorni e gli orari in cui gli stessi, a richiesta dei condomini, saranno consultabili e rilasciabili in copia e deve affiggere sul luogo di accesso al condominio o di maggior uso comune l’indicazione delle sue generalità, del suo domicilio e dei suoi recapiti, anche telefonici.
Inoltre, l’amministratore di condominio ètenuto ad eseguire le deliberazioni dell’assemblea e a convocarla almeno annualmente per l’approvazione del rendiconto condominiale entro centottanta giorni dall’assemblea.
L’amministratore, poi, deve garantire che il regolamento di condominio venga rispettato e disciplinare nell’interesse di tutto il condominio l’uso delle cose comuni e la fruizione dei servizi, in maniera tale da assicurarne il miglior godimento a ciascun condomino.
A tal fine sono fondamentali i suoi doveri di eseguire gli adempimenti fiscali, riscuotere i contributi, erogare le spese che si rendano necessarie per l’esercizio dei servizi comuni e la manutenzione delle parti comuni e compiere gli atti conservativi di queste ultime.
In ogni momento deve fornire al condomino che ne faccia richiesta l’attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso. Si precisa, poi, che le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, così come quelle erogate per conto del condominio, devono essere fatte transitare dall’amministratore su uno specifico conto corrente intestato al condominio.
Egli è tenuto inoltre ad agire per la riscossione forzata verso i condomini morosi entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale è compreso il credito esigibile, salvo espressa dispensa da parte dell’assemblea.
L’amministratore, poi, ha il dovere di curare la tenuta di una serie di registri: il registro di anagrafe condominiale, il registro dei verbali delle assemblee, il registro di nomina e revoca dell’amministratore e il registro di contabilità. Ovviamente deve anche conservare tutta la documentazione relativa alla propria gestione condominiale, sia inerente al rapporto con i condomini che relativa allo stato tecnico-amministrativo dell’edificio e del condominio.
Al momento della cessazione del suo incarico, infine, egli deve consegnare tutta la documentazione afferente al condominio e ai singoli condomini che sia in suo possesso. E’ comunque tenuto ad eseguire le attività urgenti necessarie per evitare pregiudizi agli interessi comuni, peraltro senza che ciò dia diritto ad ulteriori compensi.
Responsabilità dell’amministratore:
In alcuni casi, il comportamento omissivo o irregolare dell’amministratore può anche causare danni al condominio, ad esempio quando non ottemperi alla delibera con la quale l’assemblea ha deliberato la stipula di una polizza assicurativa per la responsabilità civile e, a un certo punto, si renda necessario avvalersi della stessa, ad esempio per la caduta di tegole dal tetto su un’auto posteggiata lungo la via. Chiaramente, il condominio non potrà avvalersi della copertura, mai attivata, e subirà un danno dovendo risarcire il terzo.
In tale ipotesi, così come in tutte le altre affini, l’amministratore risponde nei confronti del condominio per responsabilità da contratto di mandato.
Per evitare azioni personali di responsabilità, l’amministratore deve esercitare il proprio mandato nel pieno rispetto delle norme di legge, ponendo particolare attenzione nel rimuovere prontamente le situazioni di pericolo, relative alle parti comuni dell’edificio, dalle quali potrebbe derivare un danno a terzi o agli stessi condomini. Inoltre, su di lui grava l’obbligo previsto dall’articolo 40 del Codice penale, secondo cui «non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo.
Prorogatio dei poteri dell’amministratore:
L’incarico di amministratore ha la durata di un anno e alla scadenza si intende rinnovato per uguale durata come disposto dall’art. 1129, comma 10, c.c., novellato dalla riforma, ferma restando la possibilità per l’assemblea condominiale di disporre la revoca in ogni momento.
Alla fine del mandato di gestione, ovvero in caso di revoca o dimissioni, l’assemblea dovrà quindi deliberare sulla nomina del nuovo amministratore (o sulla conferma del precedente), secondo le maggioranze già richieste in precedenza, non modificate dalla riforma: il quorum richiesto è quello della maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno la metà del valore millesimale dell’edificio.
Tuttavia, può accadere che, per mancanza del raggiungimento del numero legale, considerato che la nomina e la revoca dell’amministratore (e, parimenti, la conferma) rientrano tra le materie per le quali il legislatore richiede una maggioranza “fissa” come prevista dal quarto comma dell’art. 1136 c.c., l’assemblea non riesca a nominare, confermare o revocare l’amministratore.
Nell’eventualità in cui l’assemblea non vi provveda, le opzioni sono due: a) ogni singolo condomino ha diritto di rivolgersi all’autorità giudiziaria, affinché la stessa nomini con decreto un amministratore c.d. “giudiziale”; b) l’amministratore uscente proseguenell’esercizio ordinario delle sue funzioni fino alla convocazione della nuova assemblea e comunque fino alla sua conferma o alla nomina di un nuovo amministratore.
Nel primo caso, il ricorso per la nomina può essere presentato al tribunale competente per territorio, che decide in sede camerale, anche da un solo condomino, oltre che dall’amministratore dimissionario.
Nel secondo caso, per garantire la continuità dell’incarico dell’amministratore nell’edificio condominiale, si parla di “prorogatio imperii”e l’amministratore uscente prosegue in via provvisoria.
La delibera condominiale:
Quando può essere impugnata:
una delibera condominiale può essere impugnata quando presenta vizi tali da renderla annullabile o addirittura nulla. E’ annullabile entro 30 gg. dalla decisione dell’assemblea, dal condomino presente ma che ha espresso un parere dissenziente. Il condomino assente, invece, può impugnare la delibera entro 30 gg. Dal ricevimento della raccomandata A/R inviata dall’amministratore e contenente il verbale dell’assemblea. In quest’ultimo caso il termine decorre dall’effettiva data di consegna della raccomandata al destinatario. Pertanto, se il postino non trova il condomino in casa (o le persone comunque autorizzate a ricevere il plico ai sensi del codice civile), lascia un avviso di giacenza del plico presso l’Ufficio Postale. Entro 10 giorni dal detto avviso il condomino (o persona da quest’ultimo delegata) deve ritirare la raccomandata contenente il verbale di assemblea e dal momento del ritiro e, quindi, dall’effettiva conoscenza dello stesso, decorrono i 30 giorni per l’impugnazione, come suindicato. Trascorsi i termini di giacenza (ovvero i 10 gg.) senza che sia ritirato, il verbale non è più impugnabile se non per vizi di nullità per i quali non vi è alcun termine.
Vizi della delibera condominiale:
Nullità:
Sono nulle quelle delibere assembleari che siano prive di elementi essenziali, quelle con oggetto impossibile o illecito, quelle con oggetto non rientrante nella competenza dell’assemblea, ancora quelle delibere che vadano ad incidere su diritti individuali su cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ogni condomino, ed infine quelle invalide in relazione all’oggetto.
Annullabilità:
Sono annullabili quelle delibere che presentano vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle che siano affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o informazione dell’assemblea; ancora devono considerarsi annullabili quelle delibere che siano genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione e quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all’oggetto.
L’annullamento della delibera non può però avere luogo se la delibera impugnata viene sostituita successivamente con altra presa in conformità della legge. Quindi, se è già iniziata una causa di impugnazione di una delibera assembleare del condominio, si avrà la cessazione della materia del contendere ove risulti che l’assemblea, regolarmente riconvocata, abbia validamente deliberato sugli stessi argomenti della delibera impugnata. In questo caso, però, non viene meno l’interesse delle parti alla pronuncia sulle spese processuali ed il giudice adito, valutata la fondatezza della domanda, deve provvedere alla loro liquidazione anche in base al principio della soccombenza virtuale.